E’ ancora opportuno richiedere la Permanent Recidence? Questo è uno dei quesiti che ci viene sottoposto più spesso da quando la doccia fredda del risveglio post Brexit ha catapultato tutti i cittadini europei che vivono e lavorano nel Regno Unito in un nuovo scenario nel quale mai avrebbero immaginato di doversi trovare.
In sintesi ai più infatti è chiaro che se Brexit ci sarà, a prescindere da quanto soft o hard essa sia, cambieranno comunque le regole per i cittadini europei che vorranno continuare a vivere e lavorare in questo Paese, e questo nonostante quanto affermato da Theresa May nel discorso di settembre a Firenze, all’interno del quale la premier britannica ha rassicurato i circa 600.000 cittadini italiani nel Regno Unito che i loro diritti non cambieranno dopo l’uscita dall’Unione Europea, spingendosi addirittura a dichiarare la disponibilità del Regno Unito a prorogare di altri due anni il periodo di transizione post-Brexit relativo a tale materia (la cui scadenza naturale sarebbe a marzo 2019) con conseguente estesa libertà di circolazione dei cittadini europei e parallela applicazione dei regolamenti europei nei loro confronti fino alla nuova scadenza.
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Con una lettera aperta indirizzata lo scorso 18 ottobre a tutti i cittadini europei, che di fatto anticipava quanto contenuto nel nuovo documento pubblicato su sito del Home Office in data 7 novembre, la premier May si è spinta anche oltre, sottolineando come “i diritti dei cittadini siano la sua prima priorità”, dicendo che non c’era nessuna intenzione di usarli come “merce di scambio” durante i negoziati di Brexit e promettendo un modo facile per stabilire un accordo. Il messaggio continua con “i cittadini dell’UE che si sono stabiliti nel Regno Unito hanno dato un enorme contributo al nostro Paese” e si conclude affermando che “non potrei essere più chiara: i cittadini dell’UE che oggi vivono legalmente (“lawfully”) nel Regno Unito saranno in grado di rimanere”.
L’Unione Europea aveva chiesto che i cittadini europei che avessero ottenuto la residenza permanente in UK secondo le regole attuali, mantenessero tale status anche successivamente all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
La proposta al vaglio del Governo Britannico è spiegata nella “technical note” di cui sopra prevede invece che i cittadini europei già residenti debbano registrare il loro “settled status” e per gli stessi si applicherebbero di fatto le regole (più restrittive) già in vigore per i cittadini extracomunitari, sebbene a differenza di quanto al momento previsto non verrebbe più richiesto di documentare i viaggi fuori dal Paese, ne’ l’essere in possesso di assicurazione sanitaria per le categorie per le quali al momento questa è prevista (studenti, persone self-sufficient, coniugi a carico).
Anche su questo punto la May – ed il Governo – hanno tenuto a chiarire che il processo sarà semplice e digitalizzato, con un costo “il più basso possibile”, e comunque non superiore a quanto previso per ottenere il passaporto britannico; “i criteri applicati saranno semplici, trasparenti e rigorosamente conformi all’accordo di recesso. Le persone che presentano domanda per certificare il loro “settled status” non dovranno tenere conto di ogni viaggio che hanno fatto dentro e fuori dal Regno Unito e non dovranno più dimostrare di avere la completa copertura sanitaria, come attualmente devono in conformità alle norme UE. E, soprattutto, per qualsiasi cittadino dell’UE che detiene la residenza permanente nell’ambito del vecchio regime, verrà creato un semplice processo per scambiare il proprio stato attuale per quello di settled in Gran Bretagna “.
Se a quanto sopra si aggiunge che lo stesso sito del Home Office chiarisce che “if you already have a permanent residence document it won’t be valid after the UK leaves the EU” continuando con “A new scheme will be available for EU citizens and their family members to apply to stay in the UK after it leaves the EU” (in pratica: la permanent residence non sarà più valida anche per chi già ce l’ha, per gli altri verrà comunque implementata una diversa procedura), il dubbio, più che legittimo, è se non sarebbe più opportuno aspettare gli sviluppi prima di richiedere un documento che tanto presto non avrà più valore o che comunque dovrà essere adeguato alla nuova normativa?
Verrebbe da dire di si, eppure.
Tutto quanto sopra detto sono al momento solo parole: non inteso come chiacchiere, ma proprio come dichiarazioni non vincolanti e che comunque, seppur di buon auspicio, non rappresentano alcuna garanzia per le sorti di chi vive e lavora nel Regno Unito: un discorso sullo sfondo della meravigliosa campagna toscana, una lettera che rassicuri i cittadini europei ed apra uno spiraglio in più verso i negoziati con Bruxelles, il necessario mettere in guardia, da parte del Home Office, sul possibile rischio di richiedere un documento che potrebbe presto non avere alcun valore, e addirittura essere sostituito in corso d’opera – mentre cioè si attende l’esito della nostra pratica personale.
Al momento appare però opportuno sottolineare come acquisire la permanent residence sia l’unico modo per poi richiedere la cittadinanza britannica, non essendo ancora stato implementato il sistema sostitutivo per dimostrare il nostro diritto a vivere nel Regno Unito a tempo indeterminato.
Un equivoco in cui spesso incorrono i cittadini europei, è poi quello di ritenere che il semplice aver vissuto nel Regno Unito per almeno 5 anni faccia automaticamente acquisire il diritto alla permanent residence.
Le cose in realtà non stanno proprio così, e seppure al momento tale documento abbia un valore certificativo, cioè non conferisce un diritto ma ne conferma l’esistenza, potrebbero esserci state situazioni, nel corso dei 5 anni presi in considerazione, che interrompono la continuità di residenza e facciano venire meno tale diritto. Questo infatti potrebbe essere il caso di chi nei 5 anni considerati abbia passato più di 6 mesi in uno stesso anno fuori dal Regno Unito, anche qualora ciò fosse accaduto per motivi di lavoro o malattia, o anche il caso di chi abbia interrotto l’attività di studio o lavoro sul territorio britannico per un periodo più o meno prolungato, magari beneficiando di determinati tipi di benefits.
Anche per parare queste situazioni, il richiedere la permanent residence potrebbe dimostrarsi una mossa da considerare, visto che come accennavamo prima la stessa richiesta ha solo l’effetto di certificare un diritto, per cui l’eventuale rifiuto al momento per i cittadini europei non comporta l’espulsione dal Paese e questi saranno liberi di ripresentare la domanda, magari modificando in parte il periodo di riferimento preso in considerazione (che non devono necessariamente essere i 5 anni immediatamente precedenti la domanda) o spiegando con una lettera allegata le ragioni che giustificano un caso un po’ particolare.
A seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, tale documento non rappresenterà più un diritto ma un dovere, sarà dunque necessario richiederlo così come già lo è per i cittadini extracomunitari, ed un eventuale esito negativo della nostra richiesta potrebbe comportare l’espulsione dal Paese.
Theresa May ha infatti parlato di diritto a restare per i cittadini che vivono in UK “lawfully” che letteralmente significa nel rispetto della legge, intesa non soltanto come secondo legalità ma anche nel rispetto delle leggi vigenti che agli stessi si applicano (e dunque in possesso dei requisiti necessari).
Un altro motivo per accelerare la richiesta di permanent residence è che la nuova normativa, in adeguamento alla più restrittiva legislazione britannica, prevedrà l’accertamento dei precedenti penali del richiedente, con possibile preclusione all’ottenimento della stessa in caso di fedina penale non perfettamente pulita.
Volendo dunque riepilogare i motivi per cui, secondo noi, vale ancora la pena di richiedere la permanent residence, oltre al fatto che come chiarito da Teresa May i possessori di tale status vedranno lo stesso comunque “convalidato”, seppure in seguito all’integrazione richiesta dalle nuove norme post Brexit (che in sintesi dovrebbero riguardare la verifica digitale dell’identità del richiedente, la presentazione di una fotografia e la verifica dei precedenti penali; al contrario di quanto paventato in origine, sembra non sia invece richiesto il rilascio delle impronte digitali) c’è l’indubbia considerazione che al momento questo rappresenta un requisito imprescindibile per la richiesta di cittadinanza britannica (e relativa richiesta di passaporto), oltre al metterci al sicuro in caso di eventuali cambiamenti personali (perdita del lavoro o dello status di studente, soggiorno all’estero per un periodo prolungato, richiesta di determinati benefits) e soprattutto a certificare il nostro diritto a soggiornare o vivere in UK a tempo indeterminato.
Il fatto che non verrà più richiesto di compilare il lungo formulario previsto al momento per l’ottenimento della permanent residence, unitamente alla semplificazione non da poco che non bisognerà più fornire le date dei singoli viaggi effettuati all’estero negli ultimi 5 anni, ne’ dimostrare di essere in possesso di una comprehensive sickness insurance, unitamente al ridotto costo della pratica (non più del costo per la richiesta di passaporto, cioè al momento £72.50) rappresentano un indubbio incentivo a suggerire di aspettare che la nuova normativa venga implementata.
Se però si è già in possesso dei requisiti previsti dalla disciplina attualmente in corso, che è l’unica certezza che al momento abbiamo in attesa del progredire dei negoziati e al di là delle proposizioni d’intenti così care agli ambienti politici, allora perché non semplificarsi invece la vita già da subito garantendosi una situazione di stabilità immediata invece di aspettare marzo 2019?
Tutto questo al costo di “sole” 65 sterline.
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Manuela Travaglini
The Italian Community