Dal referendum sulla permanenza del Regno Unito nella Unione Europea sono trascorsi oltre tre mesi e per quanto riguarda gli scenari e le evoluzioni della Brexit le speculazioni restano tuttora aperte.
Il risultato del referendum ha aperto crepe in entrambi i principali partiti britannici, i Tories e il Labour; per quanto riguarda i primi, le divisioni si sono rinsaldate con la nuova leadership di Theresa May, che si era presentata nella campagna referendaria come ‘moderata’ sul fronte del Remain e che ha scelto, anche per coesione partitica di porre Brexitisti come Boris Johnson, David Davis e Liam Fox in ministeri chiave (Segretario agli Esteri , Ministro per la Brexit e Ministro per il Commercio Internazionale rispettivamente).
Nel Partito Laburista, invece, in seguito alla vittoria del fronte pro-Brexit nel referendum del 23 Giugno, il leader Jeremy Corbyn ha visto una ribellione alla sua leadership, basata sul fatto di non essersi impegnato con sufficiente convinzione e determinazione per la vittoria del fronte Remain nella campagna referendaria, secondo il fronte del Partito che lo contestava.
Corbyn ha finito per trionfare in nuove elezioni per la leadership del Partito Laburista contro il leader della opposizione interna Owen Smith, rinsaldando in modo netto il sostegno da parte della base e dei membri del partito, che sono cresciuti nell’ordine delle migliaia di numeri, nuovi membri che si sono iscritti al fine di sostenere Corbyn alla guida del partito.
A dispetto della nuova riconferma di Corbyn all’ interno del partito, il dibattito sulla Brexit non ha fatto parte della formale agenda della Conferenza Laburista a Liverpool.
In ogni caso, l’ annuncio da parte del Primo Ministro Theresa May della attivazione dell’ Art.50 del Trattato di Lisbona nel Marzo 2017, articolo da implementare per iniziare la procedura di uscita di un paese dalla UE, prima delle elezioni in Germania, risulta come una dimostrazione chiara del fatto che i Conservatori sono ora pronti a premere l’ acceleratore per il processo di Brexit.
Da parte europea, la scelta, come negoziatore per la Brexit, di Guy Verhosfadt, ex Primo Ministro belga, Presidente dell’ Alleanza dei Democratici e Liberali (ALDE) per l’ Europa al Parlamento Europeo e convinto federalista, fa presagire un attitudine nei negoziati non prona a cedere a potenziali e plausibili dure prese di posizione da parte britannica.
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Nel suo discorso a Birmingham, Theresa May ha delineato il tipo di rivoluzione calma espresso dalla maggioranza degli elettori britannici, ponendo un acceso accento sulle strette forme di controllo della immigrazione.
Tali posizioni hanno trovato anche nel governo di May, con le dichiarazioni da parte del Ministero dell’ Interno Amber Rudd di voler spingere le imprese britanniche a rivelare il numero di stranieri in organico, al fine di assicurarsi che tali posti di lavoro possano essere assegnati considerando prima i lavoratori britannici.
In seguito, gli annunci di tali misure sono stati rivisti, forse anche per il fatto che confliggerebbero con le normative anti-discriminazione britanniche.
Altre misure che sono state discusse sono state la chiusura a personale straniero nell’NHS, il Sistema Sanitario Nazionale entro il 2025, anno nel quale il Sistema sanitario dovrebbe raggiungere la autosufficienza con personale britannico.
Inoltre, si presenta anche il progetto di limitare l’accesso agli studenti universitari negli atenei di secondo livello britannici, consentendolo solo agli studenti considerati maggiormente meritevoli.
Questa serie di proposte, sulla cui effettiva implementazione non vi sono affatto certezze sancisce l’intento da parte del governo di Theresa May di portare avanti nelle negoziazioni con Bruxelles uno stile molto aggressivo e poco aperto alla conciliazione; finora, le proposte emerse dalla Conferenza di Birmingham hanno condotto a numerosi malumori nel mondo politico britannico (anche tra le fila dei Conservatori), del mondo degli affari e sui mercati, con la caduta libera della sterlina col raggiungimento del suo minimo storico da 31 anni.
All’apertura delle trattative il prossimo anno, tuttavia, lo status dei due milioni circa di cittadini britannici che vivono e lavorano nei paesi della Unione Europea nello scenario post-Brexit si troverà al centro del dibattito plausibilmente, come eco di quanto ripetuto spesso da May: niente garanzie sui cittadini UE nel Regno Unito senza garanzie sullo status dei cittadini britannici nel Regno Unito.
In tutto questo, il Sindaco laburista di Londra Sadiq Khan si presenta come una figura politica volta a rassicurare la costante apertura della capitale britannica, tramite la istituzione di visti di lavoro per Londra nello scenario post-Brexit, propositi discussi con Boris Johnson, David Davis e con il Cancelliere dello Scacchiere Phil Hammond.
Una forma di visti per Londra potrebbe rappresentare un necessario compromesso, vista l’importanza del ruolo del lavoro dei cittadini comunitari e non di meno una forma di accettazione del risultato elettorale, che ha visto una maggioranza netta , nella capitale, votare in favore della permanenza nella Unione Europea.
Non resta che attendere a questo punto la primavera del 2017 e il duro braccio di ferro tra Londra e Bruxelles, ricordando che in sede europea l’idea di scindere il libero movimento delle persone da quello dei capitali, storico desiderio di Londra resta altamente improbabile.
Angelo Boccato
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