Molti connazionali che si sono trasferiti in Inghilterra per motivi di lavoro ci chiedono se siano tenuti a pagare ancora le tasse in Italia, nonostante l’imposizione già subita nel Regno Unito. Si tratta di un argomento delicato sul quale è opportuno fare chiarezza; infatti, se è indubbio che a prescindere da dove questo avvenga, le tasse da qualche parte bisognerà comunque pagarle, tuttavia bisogna stare attenti a non incorrere in un’ipotesi di doppia imposizione per cui alla tassazione nel paese ospitante vada ad aggiungersi un obbligo dichiarativo – e di versamento di imposte – anche in Italia.
La prima cosa da verificare, in questo caso, è se il cittadino italiano abbia o meno provveduto all’iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (“AIRE”). Tale iscrizione, è necessario ricordarlo, non è frutto di una scelta ma, citando la lettera della norma istitutrice, un diritto-dovere che riguarda ogni connazionale che decida di trasferirsi all’estero per un periodo superiore ad un anno.
L’iscrizione all’AIRE, per inciso, costituisce il presupposto per usufruire di una serie di servizi forniti dalle Rappresentanze consolari all’estero, nonché per l’esercizio di importanti diritti, quali per esempio: la possibilità di votare per elezioni politiche e referendum per corrispondenza nel Paese di residenza, nonché la possibilità di ottenere il rilascio o rinnovo di documenti di identità e di viaggio ed ulteriori certificazioni. Per quanto riguarda l’aspetto sanitario, invece, gli iscritti all’Aire perdono il proprio medico di base e l’assistenza sanitaria italiana, restando garantita solo l’assistenza sanitaria urgente.
Ai fini che qui interessano, la conseguenza immediata dell’iscrizione all’AIRE è che il nome del cittadino italiano trasferitosi all’estero viene cancellato dal comune di ultima residenza italiana e inserito nella lista speciale di coloro che vivono stabilmente fuori dal Paese. L’iscrizione all’AIRE è dunque l’elemento discriminante per capire dove dovremo pagare le nostre tasse.
In linea generale, tornando al quesito di partenza, dobbiamo infatti ricordare che per stabilire dove un cittadino è tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti occorre considerare il concetto di “residenza fiscale” così come disciplinata dall’articolo 2 del DPR n. 917/86, in base al quale si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone che:
- per la maggior parte del periodo d’imposta (cioè, per almeno 183 giorni all’anno) sono iscritte nelle Anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (cioè NON sono iscritti all’AIRE)
- hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.
- si sono trasferiti in uno dei Paesi a fiscalità̀ privilegiata (salvo prova contraria – ma questo non è il caso dell’Inghilterra).
E’ opportuno sottolineare come i requisiti sopra indicati siano tra loro alternativi, per cui basta il semplice verificarsi di uno solo di loro (nel nostro caso essere iscritti nell’anagrafe di un comune italiano) per far scattare una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia.
L’essere qui residenti ha infatti come conseguenza immediata l’applicazione del cosiddetto World Wide Taxation Principle, cioè “principio della tassazione mondiale” previsto dal successivo art. 3 del DPR n. 917/86, in base al quale il soggetto percettore deve pagare le imposte – ovunque prodotte – nel Paese di residenza, salvo, come vedremo in seguito, quanto diversamente indicato dall’art. 165 dello stesso DPR nonché dalle disposizioni contenute nelle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.
La regola generale è dunque che i soggetti residenti in Italia che producono redditi all’estero siano tenuti al pagamento in Italia dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non soltanto sui redditi prodotti in Italia, ma anche sui proventi esteri, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese erogante.
Tuttavia, il legislatore ha previsto degli strumenti bilaterali, le cosiddette Convenzioni contro le doppie imposizioni, per evitare che i propri cittadini vengano assoggettati due volte alle imposte sul medesimo reddito.
Generalmente, le Convenzioni non prevedono che sia un unico Stato, tra i due contraenti, ad assoggettare a tassazione un determinato tipo di reddito (tassazione esclusiva). Per questo motivo, è necessario dichiarare in Italia anche i redditi conseguiti all’estero.
La doppia imposizione viene comunque eliminata mediante l’applicazione dell’articolo 165 del DPR 917/86, secondo il quale le imposte pagate all’estero a titolo definitivo sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino a concorrenza della quota di imposta italiana.
In pratica questo significa che il cittadino italiano che svolge la sua attività all’estero ma continua ad essere iscritto nell’anagrafe dei residenti in Italia abbia l’obbligo di continuare a pagare le imposte sui redditi in Italia. Tuttavia, nell’ipotesi di imposta italiana meno favorevole sarà dovuta al fisco italiano solo l’eventuale differenza tra quanto qui dovuto e quanto già versato all’estero.
Per rispondere al quesito iniziale, pertanto:
- I cittadini italiani che decidono di trasferirsi all’estero per più di 12 mesi, o che qui già risiedono dovrebbero sempre provvedere a trasferire la propria residenza fiscale all’estero ed iscriversi all’AIRE
- In assenza di tale iscrizione, per evitare di incorrere nel rischio di doppia imposizione bisogna ricordarsi di presentare la dichiarazione dei redditi anche in Italia, dichiarare al suo interno i redditi prodotti nel Paese estero e chiedere così la detrazione per le imposte già ivi versate a titolo definitivo (cioè non si considerano gli acconti).
- La mancata iscrizione all’AIRE, ovvero la mancata dichiarazione in Italia anche dei redditi prodotti all’estero, potrebbero comportare l’inapplicabilità della Convenzione e dell’art. 165 del DPR 917/86 con conseguente imponibilità delle medesime somme nel Paese erogante (Inghilterra) ed in quello di residenza (Italia).
Proviamo a ricondurre quanto sopra esposto ad una casistica concreta, esaminando l’ipotesi di un lavoratore autonomo o dipendente trasferitosi a Londra e che qui produce il proprio reddito:
- è iscritto all’AIRE per più di 183 giorni nell’anno solare: non deve dichiarare tali redditi in Italia;
- non è iscritto all’AIRE: deve dichiarare i redditi in Italia ma può detrarre le imposte già pagate in UK
- non è iscritto all’AIRE e “dimentica” di presentare la dichiarazione in Italia per i redditi esteri: potrebbe essere passibile di accertamento e dover pagare le medesime imposte anche in Italia.
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Manuela Travaglini
The Italian Community