Molti medici italiani, di tutte le età e in tutte le fasi della loro carriera (ma soprattutto giovani), vanno a lavorare all’estero. I motivi sono tanti: perchè non c’è lavoro adeguato alle loro potenzialità in Italia, perchè vogliono imparare a lavorare in modo diverso, perchè vogliono specializzarsi in modo più professionalmente efficace, perchè hanno un’offerta di lavoro interessante.
Le destinazioni di gran lunga più comuni sono il Regno Unito e la Francia (relativamente più semplici, perchè parte dell’Unione Europea), seguite dagli Stati Uniti.
Nel Regno Unito i medici italiani sono più di tremila. All’inizio del 2014, 2.919 medici italiani (1,1%) del totale) erano iscritti al General Medical Council, e quindi abilitati a svolgere la professione medica nel Regno Unito. Il numero è in continuo e accelerato aumento. La maggioranza lavora per il National Health Service (NHS); di questi, 238 erano Consultants, secondo un rapporto della House of Lords del 2013. Altri lavorano nella ricerca di base, nell’industria farmaceutica o nelle agenzie regolatorie (EMA, NICE, MHRA, ecc).
Molti di questi medici vengono nel Regno Unito per restarci: creano legami personali e professionali, stanno bene in questo paese, e qui rimarranno indefinitamente. Altri, a un certo punto, scelgono invece di tornare in Italia. Non sono molti, e spesso il ritorno non è facile. Questo fenomeno è spesso definito “Controesodo”, assumendo che lo spostamento dei medici dall’Italia al Regno Unito (o altri paesi) si possa definire “Esodo”. Certo non è un movimento di massa, nè in un verso nè nell’altro, come questi nomi suggerirebbero: ma sono ormai entrati nel vocabolario comune e accettato.
Ma è davvero concepibile un ritorno in Italia per i medici che lavorano nel Regno Unito?
L’idea di base è che un medico possa venire dall’Italia in Inghilterra non in un triste quadro di emigrazione economica, ma in un quadro di fisiologico spostamento all’interno di quello che è sotto molti punti di vista lo stesso paese (l’Unione Europea), per imparare un nuovo e diverso modo di lavorare, e stimolare così uno scambio culturale bilaterale e proficuo. Insomma, non emigrazione, ma cross-fertilizzazione. Perchè questo si verifichi, occorre che sia possibile, e facile, e incoraggiato, anche il ritorno in Italia. Quindi non “fuga di cervelli” ma “talenti in movimento”, per usare frasi fatte. E’ chiaro che se il governo italiano, a un medico che torna, per prima cosa presenta una parcella con la differenza delle tasse da pagare, quello non è nè un benvenuto nè un bentornato. E’ sottinteso che, se non ci sono posti di lavoro per un medico bravo che ha tanto da insegnare agli altri, ma magari non il punteggio ufficiale per vincere un concorso, allora quel medico resterà in Inghilterra (o in Francia, o in America, e così via). E’ ovvio che, se gli stipendi in Italia sono la metà che in Francia, uno ci pensa tre o quattro o quattordici volte, prima di tornare.
Per affrontare questo tema, tuttora aperto, la Italian Medical Society of Great Britain organizza il 27 novembre 2015 un dibattito, tenuto in italiano, presso all’Istituto Culturale Italiano a Belgravia. Il tema del dibattito non sarà confinato all’Inghilterra, ma includerà anche la Francia, secondo paese di destinazione dei medici italiani dispatriati. Fra i partecipanti ci saranno medici che hanno affrontato l’esperienza, dall’Inghilterra e dalla Francia, e “laici” (politici, giornalisti, esperti di giurisprudenza europea).
Di seguito il programma completo della serata.
Lucio Fumi
Presidente della Italian Medical Society of Great Britain